alberto grandi

Sotto il gazebo dove di solito sostano gli amici è parcheggiata una 500 del 1967, celeste customizzata, assetto da pista e minigonne. Con le frecce negli specchietti. Sulla fiancata la firma "Albertone". Tutto sembra studiato per fare baccano, marmitte, cromature e colori. La bald eagle della Harley-Davidson la trovi un po’ dappertutto, sui manubri e sugli specchietti, sui gilet personalizzati e firmati appesi alle pareti. 

A dispetto di tutto questo, quando Alberto Grandi parte e arriva non lo senti. Ha una piccola flotta di chopper elettrici che dello stile low ride hanno solo il manubrio. Li affitta ai turisti in vacanza: “Il futuro è questo” e ci aggiunge un “purtroppo” per non rischiare l’accusa di apostasia motoristica.

Si definisce “vecchia scuola”. Gode delle vibrazioni e di quella sinfonia a quattro tempi con la quale si fa annunciare, quando passa in centro a San Teodoro con la sua 500. Il suo credo è quello del motore a stelle e strisce, quando non ha un casco, in testa tiene sempre ben calcato uno Stetson. Però sa che non può remare contro al vento del cambiamento: “Ho proposto un progetto alla Regione, per l’acquisto e l’affitto di bici elettriche con pedalata assistita - spiega - la Serial 1, la e-bike della Harley-Davidson”. 

Il volo e la caduta

Alberto Grandi è AlbertOne (“sono nato il primo maggio, la mia prima Harley l’ho acquistata alla Numero 1 di Milano, era la Mecca degli Harleysti”). È nato a Roma e si sente. Anche se vive a San Teodoro da quando ancora faceva le elementari. “Mio padre era un pilota della Alisarda. Quando ci trasferimmo in Sardegna per il suo lavoro, nel ‘79, scelse questo posto. Non distante dall’aeroporto, con tutti i servizi come farmacia e Carabinieri”. 

Racconta che aveva preso quella stessa strada. Dopo il diploma ha seguito i corsi per la licenza di pilota commerciale, anche negli Stati Uniti. Poi la decisione di tornare con i piedi e le ruote a terra. Nacque la passione per le moto custom e un incidente fu il momento di svolta della sua vita: “Era il 2002, lavoravo a Puntaldia come geometra. Stavo bene, ero soddisfatto della mia vita. Tornavo con la mia Harley da un raduno a Orosei. Un’auto sorpassava un pullman e facemmo un frontale. Trauma cranico, spalle rotte, avevo chiodi dappertutto. Restai 26 giorni in coma farmacologico perché il dolore sarebbe stato troppo forte”. Sulla parete del suo ufficio tra le foto di raduni e moto scintillanti, c’è quella del padre con l’aereo della Alisarda e una con la moglie Manuela vestita da sposa. “Era incinta della nostra prima figlia quando è successo, in moto non ci è più voluta salire”.

Il ricordo di quello schianto lo porta addosso, ma dice che ora è felice perché con i soldi dell’assicurazione ha cambiato vita. Ha aperto Gallura Custom, in un capannone su un rettilineo nella zona industriale di San Teodoro. Attorno sembra una prateria o un deserto del West americano. “L’unica preoccupazione che ho sono le tasse” dice ridendo ma senza scherzare.

Pacchiano non è brutto

Oltre a vendere e affittare due ruote fa assistenza ai rider che si trovano in difficoltà. Ogni harleysta sa che in Gallura c’è un appassionato pronto a soccorrerlo: “Sono in contatto con la Polizia stradale - spiega - mi chiamano se c’è da soccorrere un motociclista dopo un incidente. Oppure se c’è qualcuno da recuperare e ha bisogno di un’officina”. Viaggia col suo furgone di assistenza anche quando organizza tour in giro per la Sardegna con la sua associazione. “D’estate si lavora molto, ogni giorno c’è qualcosa da raccontare - dice - poi dal 2 novembre fino a Pasqua più niente”. 

I suoi viaggi più frequenti, sono i motoraduni. Come l’appuntamento in Austria al Faaker See. Lui accompagna gli amici harleysti col suo furgone per l’assistenza. Ci carica chiavi inglesi, pezzi di ricambio, formaggi, salumi e birra Ichnusa. E il suo Ciao customizzato che parcheggia accanto alle altre, per distinguersi. Mostra con soddisfazione la foto che gli hanno scattato nel 2013 a Roma, appesa assieme alle altre. In sella con le braccia aperte, andavano in Vaticano per i 110 della Harley-Davidson. "È il mio mondo".

Anima cromata

La sua, di Harley, è un esemplare raro. Una WLA degli anni ‘40 della quale va molto fiero. La tiene all’entrata del negozio accanto ai modelli elettrici: “Sul libretto c’è scritto ‘venduta dalla Prefettura di Roma’. Significa che è stata portata qui dagli americani. Infatti il suo nome è WLA Liberator. È lo stesso modello del film Un americano a Roma, con Alberto Sordi”. Frizione a bilanciere e cambio manuale a leva, col pomello. Nelle foto d’epoca hanno una fodera per il fucile.

Ma non la mette mai in strada. “La domenica vengo qua, la lavo e la rimetto dentro. C’è quel piacere del possesso che le altre moto non ti danno”. Culla un sogno che pensa non si realizzerà: mettere le ruote sulla Route 66 americana, “ho 53 anni e due figlie ancora giovani”. Ha alcuni libriccini di poesie e pensieri dedicati alla cultura custom, la copertina è marchiata Harley-Davidson. Ne apre uno e recita. Come una preghiera. Lo ammette: “È una fede, o ce l’hai o non ce l’hai. Le Harley hanno un’anima”.