
di Sharia Lecca
Quando le chiedi un appuntamento e ti dice”ci vediamo in via degli Asfodeli”, è come se ti stesse invitando a casa sua. E in fondo per Letizia Sanna è proprio così perché lei in quella strada, in quella stessa casa costruita cent’anni fa, ci è nata, cresciuta e ci vive tuttora con la sua famiglia. Così com’è stato per sua madre, sua nonna prima di lei e buona parte dei suoi parenti. “Questa è una delle prime abitazioni del paese, è la nostra casa di famiglia e da qui siamo passati praticamente tutti, nonni, zii e cugini. Siamo tutti figli di via degli Asfodeli”.
Lo dice senza retorica perché è un dato di fatto, una realtà che chi in passato ha vissuto in quella strada, o anche se solo l‘ha frequentata, riconosce come un luogo che si poteva chiamare casa. Per i suoi abitanti storici quello è ancora un posto a cui si sente di appartenere. “Qui hanno vissuto, e in parte vivono ancora, alcune delle famiglie storiche del paese – racconta guardandosi attorno come se ad ogni portone associasse un volto o un cognome – ho dei ricordi molto nitidi delle sere d’estate passate a chiacchierare fuori, a sentire i racconti degli anziani”.
Fuori le sedie
I teodorini emigrati in continente o all’estero tornavano per l‘estate e le case si riempivano nuovamente di persone. Non era stabilito da nessuna regola fissa e neanche da un passaparola, ma la routine serale qui era quella di metter fuori le sedie di casa e prendere il fresco insieme ai vicini. Era così per gli adulti, gli anziani e i bambini che entravano ed uscivano da ogni portone come se tutto fosse di tutti.
“La via era il nostro parco giochi – Letizia ha tre figli e sospira pensando che per loro non potrà mai essere così – uscivi in strada e trovavi sempre un bambino con cui giocare. Se non c’era, lo andavi a chiamare. Qui le porte erano sempre aperte. C’era sempre qualcuno seduto fuori a parlare e mamma spesso mi dava del cibo da portare ai vicini”. Oggi ha 42 anni e l’atmosfera vivace ma rilassata che ha vissuto durante l’infanzia parla di una San Teodoro già vocata al turismo. Ma in una forma più umana, in un certo senso.
Era già molto affollato, il centro storico. E questo breve tratto di strada, che anticipa la piazza centrale, era un luogo in cui i turisti si fermavano a parlare con i locali. Chiedevano loro informazioni sul territorio, sulle spiagge da vedere e sui posti in cui mangiare. Non di rado capitava anche che qualcuno si accomodasse su un marciapiede o su una delle sedie libere per passare così la serata prima di tornare alle seconde case.
Un saluto e un arrivederci
I turisti storici conoscevano per nome alcuni anziani del posto e spesso passavano da quelle parti per un saluto al loro arrivo in paese e per un arrivederci prima della partenza. In qualche modo ancora oggi via degli Asfodeli persiste, le famiglie che vi risiedono sono pressappoco quelle originarie, ma è tutto molto diverso da allora.
"L’anima della via è stata snaturata dal turismo – racconta Letizia con un’impercettibile alzata di spalle – molte delle vecchie case oggi sono attività commerciali. Quando mi affaccio non vedo più i visi familiari di una volta”. Lo dice senza nascondere una certa nostalgia ma con la consapevolezza che si tratta di un’evoluzione naturale e inevitabile per posti come questo. “I turisti c’erano anche allora, e anche tanti, ma c’era un rapporto di scambio con noi locali. Si sentivano a casa loro e amavano sentirsi parte della comunità. Certo – ammette sorridendo - ci guardavano incuriositi perché forse chi veniva dalla città ci trovava folkloristici. Ma oggi, in estate, sono io a sentirmi un'ospite, come se la mia routine familiare e la mia vita di tutti i giorni siano di intralcio a chi è qui per le vacanze”.
Coccoliamo il centro
Quello che vorrebbe per la San Teodoro di domani è una coccola alle realtà più autentiche del luogo. “Mi piacerebbe che si desse più risalto alle vie del centro. Qui vivono ancora molte famiglie storiche e alcune attività commerciali sono aperte tutto l’anno, in qualche modo cercano di resistere”. Il suo desiderio di un turismo più amico non è offuscato da una mera critica ai tempi che cambiano, perché è grazie a questo che ha trovato l’amore. Alessandro, suo marito, era qui in vacanza quando si sono conosciuti, e dopo una parentesi di due anni a Roma, hanno deciso di venire a vivere qui, in via degli Asfodeli.
Lui è quello che si dice un figlio d’arte. Suo padre è un pezzo della storia della musica leggera di questo paese; era il grande maestro d’orchestra Pippo Caruso, quello di tanti festival di Sanremo. “La musica ha fatto un ingresso trionfale nella mia vita, lui mi ha aperto gli orizzonti donandomi quel ‘pacchetto’ di emozioni che il padre aveva donato a lui”.
Il ritmo di Costa Caddu
Racconta che la sua casa, le cui finestre sono invase dalla vista della Chiesa e della piazza del paese, è arredata con chitarre, un basso e cd ovunque. I suoi quadri sono collage fatti con le decine di biglietti dei concerti che Alessandro ha visto quando stava a Roma. Police, Genesis, Eric Clapton, Paul Young, Sting, James Taylor, Pink Floyd, Peter Gabriel, Dire Straits… potrebbe elencarne molti altri ma si ferma su Pat Metheny, il suo preferito. “Non lo conoscevo – scuote la testa ancora incredula - ammetto che prima di incontrare Alessandro le mie conoscenze musicali erano molto limitate”.
La colonna sonora della sua vita però è al completo solo con il silenzio e la pace che anche in estate riesce a trovare nel suo posto del cuore, le calette di Costa Caddu. “E’ un luogo più sereno e tranquillo e miracolosamente anche i bambini si adeguano a questo ritmo e stanno buoni buoni – spalanca gli occhi azzurrissimi e ride – riesco anche a stendermi al sole”.
La possibilità di vivere per sempre a Roma l’ha esclusa da subito. “Non ho mai avuto voglia di andarmene da qui, il paese è la mia casa, un nido in cui vivere serena – poi ci pensa un attimo come per correggersi – ma se i miei figli vorranno andare via lo capirò, sarò felice per loro ma io non mi immagino in nessun altro posto”.