
Bruno Melinu afferma che la laguna di San Teodoro, per lui, non ha segreti. Ma dice che non è per vantarsi. L’unica cosa che non sa, è quale sarà il pescato del giorno dopo. Da vent’anni ogni mattina “alle sette, sette e mezza d’inverno” si presenta alla Pischera. Alle spalle lo specchio d’acqua che bussa sulla vecchia statale, in faccia il sole che sale dal mare. E respira: “Ho cominciato a lavorare a 16 anni - racconta - facevo il manovale in un cantiere edile. Poi a 19 anni ho aperto un’attività, gestivo un bar con mia sorella. Poi una pizzeria. Nel 2002, dopo 20 anni ho venduto tutto e ho detto ‘ma sì, cambio vita’”. Ora gestisce le vendite ai grossisti e qualcosa al dettaglio. Mentre il pesce "povero", a chilometro zero, finisce sulla tavola del suo ristorante casalingo.
Dove il mare e lo stagno si baciano, alla Pischera si raccoglie ciò che portano le maree. Ogni giorno da giugno fino a tutto gennaio, i lavoratori della Pischera scendono in acqua e riempiono le casse con quello che c'è nelle gabbie. A febbraio si apre la barriera e non esiste più stagno e antistagno. “È quando finisce il periodo della spigola e dell’orata. Dall’inverno all’inizio primavera si ripopola, è il periodo della fornidura della Luna. Non c’è cattura”.
Poi con il caldo cresce il cibo per i pesci predatori. Arsella, bocconi di mare “le orate ne vanno ghiotte. Entra di tutto, il muggine, la spigola che è un altro predatore, attirati dalla catena alimentare”. Si interrompe, una coppia si presenta per un chilo e quattro di orate. Freschissime.
Vita di laguna
Bruno si è affacciato alla laguna per rifare il maquillage a questo teatro naturale. Ha risistemato i giardini e i muretti a secco. C’era un ristorante, che ora è chiuso “ma speriamo che possa riaprire la prossima stagione. Ora che è del Comune, ci sarà un bando per la gestione”. La Pischera era lì a pochi passi: “Mi hanno avvicinato alla vendita del pesce e mi sono appassionato - ricorda - qui è bellissimo, un colpo d’occhio, dai volatili alle specie ittiche. Da settembre a maggio ci sono i fenicotteri, anche se questa è una tappa della migrazione. Nidificano nel sud della Sardegna, poi vengono qui con i piccoli che hanno ancora il piumaggio grigio. Stanno all’interno delle lagune, perché hanno paura dei predatori di terra”.
La laguna era un’attrazione. Il tour naturalistico in battello disegnava sull’acqua un itinerario per avvistare cavaliere d'Italia (un trampoliere) e la cicogna nera. “Poi è iniziato il va e vieni, col traghetto per la Cinta. Ma questa zona umida tutelata e un motore che spingeva andava a ‘varare’ la fanghiglia. Spero che le istituzioni diano un po’ più di occhio a questa splendida laguna e alle sue attività”.
Lui cucinava, io guardavo
Si pescava e si cucinava anche, alla Pischera. Bruno Melinu, barista e pizzaiolo, dice che non aveva esperienza come chef ittico, ma ha imparato osservando: “C’era questo signore che lavorava con me, Francesco Mura. Un ex cuoco di hotel, cucinavamo un po’ del pescato, per noi e quelli che lavoravano qui, l’amministratore, qualche amico. Lui cucinava, io guardavo”.
Ha imparato così anche a riconoscere i diversi tipi di cefalo “bosega, volpina, lotregano” poi ci sono diverse pezzature “prima, seconda, terza misura...”. E allo stesso modo ha affinato la tecnica per la bottarga: “Ho guardato per anni come evisceravano il muggine ma mi sono permesso di farlo forse dopo due anni. Perché se rompi una sacca ovarica non è più vendibile. Si può essiccare lo stesso ma ce la portiamo noi a casa. Ora posso farlo bene come gli altri”.
La mia bottarga
La bottarga che produce Melinu è nel menu che offre a casa sua. Si è inventato un nuovo lavoro, si capisce che è uno che impara in fretta. “Nel 2017 mi sono detto, ho una casa col giardino. Perché non proporre questo prodotto a casa mia? E così ho fatto - racconta - è un piccolo ristorante. Non faccio pubblicità, il mio numero ha cominciato a girare col passaparola. Mi chiamano di continuo anche nelle mega ville, faccio un po’ a casa e qualcosa anche a domicilio. Ma non riesco a dire sì a tutti. Per me non è proprio un lavoro, un aiuto - riflette - ho due figlie all’università e un mutuo da pagare”.
Il menu alla Pischera non era quello di un ristorante di lusso. Tutt’altro. Spigole e orate vanno, assieme al resto del pescato, verso i mercati di Cagliari e Arborea. È questo che gli ha stuzzicato la creatività. “Cucinavamo pesci poveri, come il muggine, che sarebbe la volpina, stessa famiglia del cefalo. La mormora e il sarago. È la trasformazione che li rende speciali”.
Da come ne parla sembra che vada particolarmente orgoglioso della “sua” salpa. Nei menu dei ristoranti non c’è. “La chiamano la ‘pecora di mare’. È erbivora, la devi eviscerare appena la porti a terra altrimenti l’erba che mangia puzza. Nei ristoranti non la vogliono nemmeno per regalo. E invece secondo me è uno dei pesci più buoni in laguna”.
L'incantesimo della salpa
Dice Bruno che quando la cucina lui, scambiano i filetti di salpa per un’orata. Per trasformarla, gli è bastato dare le spalle al mare e guardarsi attorno: “Sfilettavo, spinavo, mettevo sotto sale. Poi però i trucioli di faggio, che si usano di solito per affumicare, non mi ispiravano. Ho iniziato con le cime fresche del mirto, l’elicriso, con un po' di ginepro essiccato. E poi ne faccio anche una macinatura, con alloro e rosmarino essiccati. Prendo tutte queste essenze di questa splendida macchia mediterranea che mi dà tutto” spiega mentre stende il braccio verso terra come ad aprire un sipario.
Sentirlo descrivere il modo in cui sfiletta, conserva e serve il pescato sveglia l’appetito. I più piccoli caduti nella rete si fanno fritti. E le carcasse di risulta non vanno buttate: “Ci faccio dei fumetti eccezionali e i sughi per la pasta”. Viene buono anche per il brodo di pesce, dentro cui far cuocere la fregola. “Sono cose che si fanno da una vita. In un ristorante, che deve camminare camminare camminare, queste cose sfiziose non le trovi”.
Qui sono rinato
Il menu, lo fa il pescato e il pesce che entra non si annuncia: “Ho amici pescatori che mi possono procurare anche pesce azzurro, tonni e pesce spada. Ma quelli li trovi dappertutto. La bottarga che faccio io non la trovi da nessun’altra parte, a volte quella fresca basta anche da sola sulla pasta. Oppure con polpa di granchietti e ostriche”.
Nel giardino di casa sua, il suo piccolo ristorante si apre “per minimo quattro e massimo otto persone”. Con lui ci sono la moglie Annarita e le figlie “Maura studia medicina e vorrebbe specializzarsi in Pediatria. E Paola invece Scienze della formazione, perché vorrebbe fare la maestra. Mi danno una mano. Anzi no, lavorano con me. Sono tre donne fantastiche”. Racconta tutto senza nascondere una gran soddisfazione: “Anche se sono teodorino, la Pischera non la conoscevo. Qui sono rinato”.