
Lo schiaffo della bellezza ti coglie all’improvviso, portato da una folata di vento, uscendo sotto il portico di questa villa ai Giardini d’Aldia. Sembra tutto studiato, probabilmente lo è, da un architetto con molto senso scenografico, per guidare lo sguardo dalle quinte dei pilastri e della siepe in una fuga verso l’orizzonte. Lì dove il prato, tenuto a misura da un robot che non si lamenta mai, accompagna la vista verso il mare, qualche chilometro più a est. “Lì c’è l’Isola Ruia - la padrona di casa indica l’isolotto che campeggia al centro di questa baia e del suo panorama da cartolina - vedi? La prua delle navi all’ancora indica la direzione del vento. Oggi è scirocco”.
Posa il vassoio con i caffè e i bicchieri d’acqua. Invita ad accomodarsi sui divanetti all’ombra di un agosto assillante. Moka, cagnolona cordiale, si stravacca a favore di brezza dopo aver fiutato l’ospite con la sua perizia da labrador. La storia di Marie-Hélène Polo, che ora amministra il porto di Puntaldia, come quella di tutti, comincia col suo nome: “Il mio bisnonno era italiano, emigrato in Germania. Mio nonno era emigrato in Francia e mio padre ha tenuto il cognome e la cittadinanza italiana. Anche se non ha mai vissuto in Italia”.
Se un giorno d'estate
Racconta di essere cresciuta a Metz, nella Lorena, a pochi chilometri dal Lussemburgo: “A sei anni sono venuta in Italia con mia madre, francese. Mio fratello restò con mio padre e io andai vivere con lei a Pordenone. Nel ‘74 la gestione del divorzio era ancora sperimentale” spiega con un accento che appena dopo aver tradito la sua origine transalpina, sfuma nella cadenza lombarda. “Dopo il liceo classico ho studiato Giurisprudenza a Milano. Per una serie di coincidenze sono entrata in uno studio legale che seguiva grossi casi di grandi marchi, brevetti e diritto d’autore”.
La sliding door che l’ha portata qui si è aperta un giorno d’estate. “Mia madre col compagno vennero in vacanza e comprarono un appartamento a Puntaldia. Era l’87, avevo 19 anni. Nel ‘99, decisi di trascorrere qui alcuni giorni mentre preparavo l’esame da avvocato. Dovevo starmene chiusa in casa sui libri ma faceva un caldo bestiale. Uscii e in piazzetta incontrai Carlo Sessegolo. Lo conoscevo di vista, era molto più grande di me, lo salutavo ma niente di più. Quel giorno invece iniziò la nostra storia. Mi trasferii qui nel 2000. Tre anni dopo è nato nostro figlio Oliviero”.
I valori di Carlo
Sessegolo è l’ingegnere che ha dedicato una vita a Puntaldia e ha contribuito a svilupparla e valorizzarla. Ha costruito da imprenditore i Giardini d’Aldia. E il porto, lì dove c’era una piccola laguna collegata al mare, poche barche ormeggiate, e oggi ospita l’approdo turistico. Questo fa di Puntaldia, assieme al suo impianto urbanistico, concepito ex-novo con un progetto elegante e strutturato, la seconda anima di San Teodoro. Come il rovescio di una medaglia, riservata e “ovattata”, un gioiello d’élite. Dopo aver lasciato una carriera avviata da avvocata per la Sardegna, “lo studio seguiva aziende importanti e cause che avevano risalto sulla stampa” dice, Marie-Hélène Polo ha dato vita a una sua avventura imprenditoriale, disegnando gioielli. E poi, di nuovo, il bivio dietro una curva a gomito: “Cinque anni fa mio marito, che era una bomba, di quegli imprenditori eclettici, super in gamba, pieno di iniziative, in perfetta salute, si è ammalato. Il primo giugno abbiamo scoperto che aveva un tumore, il 20 giugno è morto”.
Oliviero era ancora un adolescente, c’erano delle decisioni da prendere: “Mi sono trovata dall'oggi al domani con tutto questo, con Puntaldia, i nostri contatti e le relazioni, tutta la gente, l'investimento in termini di valori e persone del territorio. Ti balena il tutto e il niente: cosa faccio? Mio figlio aveva finito terza media e doveva iniziare il Classico a Olbia. Ho detto ‘rimaniamo qui’, andare altrove avrebbe significato un altro trauma”.
Puntaldia ha degli equilibri da mantenere, come un’oasi da preservare: “Ho preso in mano la nostra vita. Non solo. Volevo dare continuità a quei valori, quegli affetti, quelle connessioni e relazioni che Carlo aveva coltivato. Anche per dare un esempio a mio figlio. Ho mollato i gioielli e sono diventata amministratrice della Marina. Con grande piacere e fortuna”.
Il vento di Puntaldia
Dice che ha fatto due volte il giro del mondo ma ha sempre quel mal di Sardegna che la fa tornare in questo “concentrato di estremi: forte, arida e potente, selvaggia e ristoratrice”. Ha viaggiato tanto con Oliviero, che ora si è iscritto alla Bicocca, studia Astrofisica. Questa estate lo ha assunto alla Marina come ormeggiatore. Lo saluta mentre lui spazza le cicche dal marciapiede, e lei sale sul suo yacth (“ho pensato che cominciare dalle cose semplici fosse il modo migliore per inquadrarsi. Impara di più a pulire i rifiuti e tutte le schifezze, che a stare in amministrazione”). Quindi molla le cime e va, con il suo 15 metri, che guida da sola. Il suo posto preferito sono i sassi piatti. Granito modellato dal vento “che sprofonda nel mare, il posto più spettacolare dove andare a nuotare”.
Due o tre volte a settimana copre a bracciate avanti e indietro la baia. Dove in autunno ha voluto portare le regate. I venti che soffiano nel golfo dirimpetto a Lu Impostu e Cala Brandinchi sembrano fatti apposta per spingere vele. Il circuito Melges World League farà tappa qui, a fine settembre, come due anni fa (nel 2020 l’appuntamento è saltato per la pandemia). Citycar del mare, da otto e quattro persone di equipaggio, guidate da ‘piloti di Formula 1’ delle grandi classiche come America’s Cup e Volvo Ocean Race. Subito dopo sarà la volta dei foil, piccole e agili che volano sull’acqua come Luna rossa. In tutto, tre settimane di regate fino alla prima di ottobre: “Per San Teodoro è una bella cosa, allunga la stagione, è uno sport di nicchia che però porta indotto e visibilità. Una ventata di qualità” afferma.
Sensibilità alla bellezza
Hanno due storie parallele, San Teodoro e Puntaldia. La prima è nata dalle eredità delle figlie dei pastori, con la paura di toccarlo, quel mare. Cresciuta in forza di un’opportunità economica colta dai suoi abitanti. La seconda è un progetto unico, concepito come un mosaico, per dare forma a qualcosa di molto più esclusivo, con i giardini scolpiti e pettinati anche d’inverno. “Una comunità nella comunità”. La bellezza “ovattata” che la rende così preziosa, tutto a “walking distance”. Ma, assicura, “chi approda qui poi vuole scoprire l’interno”.
Fa l’esempio dei cavalli sulla spiaggia, del Riu pitrisconi sul Monte Nieddu, della vedetta Pala di monte. “Con la sindaca vogliamo ragionare su eventi per portare anche in piazza gli equipaggi. Ci interessa collaborare, facciamo parte del territorio, senza dubbio. Siamo un porto che deve collegare il mare con quello che c'è a terra. La ciclabile è uno dei progetti che abbiamo proposto anche noi e che Rita Deretta vuole lanciare. È molto energica, positiva, in gamba”.
La riflessione è d’obbligo, nel corso di un’estate che ha scosso San Teodoro portandola a doversi confrontare col proprio modello turistico. Così diverso da Puntaldia dove tutto pare congelato in una armonia silenziosa: “Ci vuole sensibilità alla bellezza”. Cerca di pesare le parole, per evitare confronti e contrapposizioni.
Terra e mare
Quella sensibilità di cui parla deve sposarsi con quello che c’è attorno, secondo Marie-Hélène Polo, un po’ come le case di Puntaldia si confondono col paesaggio se osservate dal mare, senza sfregiare il versante: “Bisogna valorizzare l’aspetto culturale della Sardegna - continua - qui c'è la natura, il paesaggio, e la prorompenza di questa bellezza. La chiave è portare servizi”.
Come il porto mai terminato. Che ancora è solo un’impalcatura vuota e, soprattutto, ancora slegata dal centro abitato: “Bisogna fare una cosa figa, unendo il porto al centro di San Teodoro con un collegamento che sia bello, che crei indotto. Non sarebbe più un paese in campagna ma un paese di mare. Ma bisogna pensare a un concetto strutturato e complessivo, un progetto unico dei servizi di collegamento. Non una miriade di iniziative”.
La bellezza per lei è nell'equilibrio, nel gusto e nella misura. Anche nella sobrietà. Nella raffinatezza. Come in Giappone, o come i fiori del frangipane, la pianta tropicale che alle Hawaii usano per fare le collane e che ha trovato posto nel suo giardino di fronte all’isola Ruia.