
Quando finisce “la stagione”, cala il silenzio. Forse era questo che cercava, senza saperlo, più di 20 anni fa. Luca Mura lo usa, per creare: “Mi serve, quel silenzio. Per fare quello che faccio io, un silenzio costruttivo. Ma è un peccato che duri così tanto” dice mentre fa a pezzi con le tenaglie vecchie mattonelle, con una spugna abrasiva smussa gli angoli e sagoma nella forma voluta la tessera del suo prossimo mosaico. E poi, con una virgola di stucco, la fissa sul disegno.
Luca Mura è nato a Bono 45 anni fa, forse uno dei paesi più lontani dal mare, nel nord dell’isola. A poco più di 20 anni ha salutato montagne, pascoli e tassi millenari, alti decine di metri, per il mare. Attirato dal rumore (e per seguire la sua ragazza). A San Teodoro prima ha trovato lavoro nell’organizzazione di concerti, poi, per due decenni, la sua vita è stata la ristorazione: “Vedevo un paese fantastico, dinamico con tanti giovani, la movida, San Teodoro ha quella forza - racconta - nel 1998 lavoravo come rappresentante della Folletto, ho seguito la mia ragazza di allora qui, ho trovato un paesino di tremila persone con la mentalità da città. Oltre alla sua bellezza, mi aveva colpito l’indipendenza che ti permetteva di avere. Ho lavorato come cameriere, responsabile di sala e direttore di un ristorante”.
Da un paio d’anni ha un garage per laboratorio, si dedica full time a realizzare i suoi mosaici. Ha mollato la ristorazione perché, semplicemente, non ce la faceva più: “Non avevo più la battuta pronta, né per i clienti, né per i collaboratori”.
Il primo pezzo venduto, Bob Marley, lo aveva esposto nel suo ristorante. Racconta che passò di lì e se ne innamorò un surfista settantenne di Amsterdam, un ingegnere meccanico della McLaren che girava la Sardegna in camper, lo pagò quasi mille euro e poi tornò a riprenderselo finito il tour. Un’altra bella storia è quella di Hitler, mosaico che raffigura il dittatore che si spara alla tempia: “Era esposta alla mostra Caos, nel 2014 - ricorda Mura - un ragazzo di Roma, che vidi solo quella volta, me lo comprò e non passò mai a ritirarlo. Mi disse che stava investendo su di me e che avrei dovuto tenerlo, portarlo in giro. Arrivò un’altra offerta, il triplo di quello che me l’aveva pagata lui. Ma disse che dovevo alzare la posta e non accettò”.
Si ispira a Melchiorre Melis, segue i contorni e rielabora le opere dell’artista sardo del secolo scorso, come altri, secondo Mura, poco valorizzati. Racconta delle mostre a Londra e di un laboratorio a Brick Lane, una strada culto per gli street artist, lui che con i mosaici vorrebbe “colorare la Sardegna” ma che ancora soffre quando qualcuno gli chiede di fare “la stagione”. “Quando negli anni ‘20 gli artisti sardi arrivarono alla Biennale di Venezia, sbancarono, quel tipo di arte non si era mai vista, secoli di scuola dei tappeti per esempio. La cultura sarda può essere l’uscita dal nostro silenzio”.
Il silenzio, quello che d’inverno spezza con il ticchettio delle tessere che suonano come pezzi di vetro, su un sottofondo di musica rock. Poi però arriva l’estate: “Sembra che qui l’estate arrivi all’improvviso - riflette Mura - lei arriva e noi apriamo, di fretta. Sai cosa penso? Che bisognerebbe far parlare la natura, facciamo parlare il signor San Teodoro, come se fosse una persona”.
Cosa direbbe? “Che c’è bisogno di più lentezza e rispetto, che ha bisogno di tutela. Oggi la cosa più affascinante di San Teodoro è che il turista arriva da tutto il mondo, dal nord Europa, dal Sudamerica, dal Giappone e da New York. Chiediamoci perché vengono qui, cosa li attira. Mi piacerebbe che venissero qui anche negli altri periodi dell’anno. A marzo e aprile qui ci sono 20 gradi, un norvegese fa il bagno tranquillamente. Come si dice… fuori stagione, bassa stagione? Ma poi, perché?”. Le stagioni sono belle tutte, qualcuna più silenziosa, qualcuna meno, secondo Mura. “L’inverno è bellissimo, il silenzio, il niente. Ogni mattina vado alla Cinta, non è mai uguale. Tra andare e tornare incontri al massimo dieci persone, ti salutano da lontano. È il motivo per cui non me ne andrò mai da qua”.