
“Ti faccio vedere perché siamo venuti qui”. Fa cenno di seguirlo sui gradini esterni che portano al piano superiore della villetta, una delle tante costruite tra i ‘70 e gli ‘80, quasi in cima alla collina che torreggia sul centro di San Teodoro. Molte ad aprile hanno le imposte serrate, sono le seconde case “dei nuoresi”. A metà della scala prende una sedia. “Ognuno porta la sua”, dice, e la sistema nell’angolo un po’ riparato dal maestrale.
Mario Vassallo, napoletano, è arrivato qui più di 40 anni fa con la moglie Ersilia, anche lei campana, di Torre Annunziata. Era il 1979: “Abbiamo percorso tutta l’isola, da Cagliari a Santa Teresa, e ci siamo fermati qui, perché vedevamo delle potenzialità in San Teodoro, per il nostro tipo di attività”. Mario ed Ersilia sono orafi, hanno un negozio in centro città, che è anche un laboratorio artigianale. La decisione, secondo Ersilia, è stata un po’ un azzardo, almeno all’inizio. Quando per un po’ hanno gestito la gioielleria di San Teodoro assieme a quella di Napoli, poi la scelta di trasferirsi in Sardegna, una “scommessa sul futuro dei ragazzi”.
“Io non ero molto convinta, quando siamo arrivati a San Teodoro Gianluca faceva la quarta elementare, Simona la seconda, abbiamo deciso di aspettare che Gianluca finisse il ciclo di studi e ci siamo trasferiti”, racconta lei. La San Teodoro che ricordano, in quegli anni, è un quadro a tinte calde, nella rilassatezza di un boom turistico che non era ancora deflagrato. Nemmeno quello edilizio: “C’erano i tedeschi, gli unici che potevano permettersi di costruire le ville con l’accesso al mare - ricorda Mario - addirittura chiudevano il passaggio per la spiaggia, che se lo fai ora ti arrestano. A Lu Impostu, per esempio, o a Puntaldia”. “Ma lì c’era già un villaggione - lo interrompe Ersilia - comunque era un posto ancora poco conosciuto, con un turismo per famiglie”. “Era un livello alto di clientela. Poi sono arrivate le discoteche e i giovani, San Teodoro era diventata uno sprintman, poi ha rallentato di nuovo”.
Mario apre il libro con la storia dei gioielli regionali, sono gli articoli più ricercati nel loro negozio, assieme ai coralli. Indica col dito la fede sarda, con il motivo a nido d’ape di ragnetti e sferette, quella che la madre passava alla figlia primogenita. Il bottone sardo, l’ornamento dei vestiti tradizionali e l’amuleto portafortuna, il su coccu: “Si regalava ai nascituri, bisognava appenderlo alla culla - dice Ersilia - proteggeva dal malocchio”.
“Se si rompeva - aggiunge Mario - era perché aveva parato il colpo. Chi compra questi oggetti non cerca solo un souvenir, vuole conoscerne la storia”. Dalla domenica delle palme, fino a Natale, la gioielleria e il laboratorio orafo dei Vassallo sono aperti tutti i giorni della settimana, perché “non sappiamo fare altro e altro non vogliamo fare, da quando ero un ragazzo e dopo la scuola prendevo il pullman per andare ad apprendere il mestiere da un professore di istituto d’arte che aveva una sua bottega”.
Il mare? “È bellissimo ma d’estate non ci andiamo mai. Quando ci vedono in spiaggia ci dicono: ‘È iniziato l’inverno, ci sono i Vassallo al mare".

Quando sono arrivati a San Teodoro, i Vassallo hanno avuto due piccoli appartamenti “che insieme non ne facevano uno”. Prima di costruire la casa in alto sulla collina. La sala da pranzo è illuminata da una finestra larga come tutta la parete, è una cartolina di San Teodoro. Mario torna col pensiero all’altro appartamento in alto, quello di Torre Annunziata: “Abitavamo al nono piano, avevamo una finestrella e un balconcino. Era un periodo in cui la città era diventata pericolosa, all’inizio c’erano i trafficanti di sigarette, poi sono arrivati altri tipi di traffici ed era come stare in guerra. Non volevamo che quella fosse la normalità per i nostri figli. Questo, invece, è un privilegio che pochi possono avere in Italia. E penso che col tempo abbiano apprezzato la nostra scelta”.

Seduti infine sul terrazzo, ci si parla e si ascolta senza guardarsi negli occhi. Lo sguardo scivola sulle case basse del paese che, nonostante l’esplosione edilizia, ha mantenuto la sua omogeneità, nelle forme e nei colori. Plana sul golfo che si chiude a Puntaldia, poi si arrampica su Tavolara e si allarga fino a toccare Molarotto, per perdersi sul mare. “Quando sono incazzato col mondo mi basta venire qui - dice come se fosse una cosa ovvia - ogni tanto passa una nave all’orizzonte e la punto col dito, come se fosse il bersaglio di un vecchio videogioco”.