
A San Teodoro era arrivata per andare via. Una tappa della sua “crescita professionale”, davanti a sé aveva la scalata di quella che un tempo era definita “donna in carriera”. La sua vita era il suo progetto, scandito da obiettivi prefissati, masterplan, vision, goal. Otto anni dopo il suo primo arrivo a San Teodoro, Martina Cianfarani, che ora ha 39 anni, è ancora qui e non ad Atlanta.
Ha un compagno, Gian Renzo Bazzu, lui sì, teodorino. Un figlio che hanno chiamato Gaspare, come il nonno paterno. E una vigna che cresce e che guarda il mare: “Lavoravo come responsabile commerciale della Coca Cola in Sardegna - racconta - prima dell’area Sud, a Cagliari. Poi del Nord. Nel 2013 dovevo decidere se trasferirmi ad Alghero o a San Teodoro. Ho scelto San Teodoro, ne avevo sentito parlare e avevo voglia anche di divertirmi”.
Qualcosa che non avevo
Papà laziale, madre abruzzese. Casa sua però era a Rubiera, in provincia di Reggio Emilia. Quando la carriera l’ha portata sull’isola, l’ha chiusa a doppia mandata senza immaginare che dietro a quella porta che si apriva avrebbe trovato qualcosa che non aveva calcolato. La sua sliding door si è aperta un giorno in un locale dove ha conosciuto Gian Renzo: “All’inizio non lo consideravo proprio”. Non parla solo di lui, ma dell’idea di legarsi a qualcuno dentro a una parentesi: “‘Non mi innamorerò di un sardo’, mi ripetevo. Ma lui mi ha corteggiata, mi aspettava sempre. Per due mesi ci siamo sentiti solo al telefono. Mi teneva compagnia per strada, c’era una stima e un'affinità mentale. Siamo entrambi dei vulcani”.
È cominciata così la sua seconda vita. Qui a San Teodoro. Era il 2014, racconta che settembre doveva essere la chiusura di quella parentesi: “Feci una controproposta alla Coca Cola, per restare in Sardegna. Poi nel 2015 rimasi incinta di Gaspare. Con Gian Renzo c’era passione, sintonia, voglia di fare. Quindi la decisione: ci fermiamo”. Si licenziò, per non lasciare il bambino con la tata. E per aprire un capitolo totalmente nuovo. Lei e Gian Renzo hanno una casa a Olbia "ce la siamo fatta come volevamo". La dimensione cittadina d'inverno, quella marittima d'estate.
“Rimettermi in gioco”. Il suo eloquio deciso non ha schegge. Cubica. Anche quando parla dei suoi viaggi. Dice delle Seychelles, che la Sardegna non ha nulla da invidiare a quel mare “da quando vivo qui, per ogni luogo è un eterno paragone. Sarà sempre così”. L’ultimo capodanno, quello del 2019, prima di due anni senza viaggiare, lo ha trascorso a Miami, assieme alla famiglia.
La macchinina di legno
Poi succede qualcosa. La voce si blocca, scendono lacrime che la bloccano per un minuto senza che riesca a parlare. Pensa a quando ha portato Gaspare in Madagascar, due anni fa: “Era nel suo periodo del ‘perché’ e del ‘questo è mio’. Era tutto ‘mio’. Non sapevo come gestire questa cosa, ho fatto anche un corso genitoriale per questo. Ho studiato”. Un'intuizione: la ragione è la famiglia, il capitolo dell'imponderabile che non avrebbe pensato di scrivere, non qui.
“L’ho portato in mezzo alla povertà, gli ho fatto vedere come vivevano, dove si lavavano, come condividevano un pacchetto di merendine, che giocano ancora con il cerchio di una bicicletta. Siamo andati con le jeep nelle foreste, nelle isole. Ho visto quasi uno spavento nei suoi occhi grandi e neri. Lui mi chiedeva ‘mamma, ma perché?’. Io gli dicevo ‘vedi cosa significa condividere? Soprattutto con chi ne ha più bisogno di te’”.
Ma anche quando l’emozione la blocca, traspare il metodo con cui cerca di regolare la sua vita. Così anche Gaspare, forse per la prima volta nella sua vita, si è messo in gioco: “C’era questo bambino, Luca. Gli ha lasciato un po’ dei suoi vestiti, il dentifricio, la palla, alla quale è molto legato perché mio figlio è malato di calcio. E Luca gli ha donato una macchinina di legno. È ancora nella sua cameretta. Oggi Gaspare ha imparato a condividere, prestare i suoi giochi, dividere la sua merendina per darne un pezzo agli altri. Gli è servito tantissimo”.
Il sale e il maestrale
Gian Renzo amministra l’attività di famiglia, manufatti in cemento. Martina ha scommesso sul turismo, con l’attività di affittacamere. Poi ha voluto creare qualcosa che non c’era, un’azienda da zero e formare, far crescere i suoi collaboratori. È uno dei suoi mantra: “Vedere il successo degli altri dopo averne capito e sviluppato le potenzialità”. Ma soprattutto mettersi ancora alla prova, “avere un ruolo importante in un’azienda, non per altri ma questa volta per me”.
Da qualche tempo c’è una vigna che cresce tra San Teodoro e Puntaldia, che guarda dall’alto laguna e la stesa sottile della Cinta: “Sono otto ettari - dice Martina - 90 per cento Vermentino e 10 per cento Cannonau. È in una posizione unica, per la vicinanza al mare e accarezzata dal maestrale che porta il sale. Questo le dà caratteristiche diverse dagli altri: salinità, sapidità e persistenza, che diversamente bisogna costruire. Per noi sarà naturale”.
La prima vendemmia della tenuta Teo D’Oro sarà quella del 2021. Le prime mille bottiglie usciranno già quest'anno, spiega Martina, che ha intenzione di proporla come fattoria didattica e coinvolgere le scuole nella prima raccolta dei grappoli. Le prime due etichette, invece, si affacceranno sul mercato nel 2022. Lei ora studia agronomia e marketing, per avviare la parte commerciale.
Due cose per San Teodoro
“Collaborazione, organizzazione” sintetizza in una concezione più selezionata dell’offerta turistica. Secondo lei significa valorizzare il territorio con una migliore comunicazione per una clientela medio-alta. “Con professionalità più alta e più servizi. La testa, la mentalità romagnola con il mare della Sardegna. Renderla speciale come le Seychelles”.
La “donna in carriera” è un treno che ha solo cambiato binario e sa già quali stazioni si troverà davanti. Il suo metodo è come lei, senza scalfiture: “Lavorare per obiettivi giornalieri”. Vuole ancora correre. Come fa la mattina alle sei: “Varco l’ingresso della Cinta, non vedo nessuno, il mare piatto. È la stessa sensazione che provo quando scendo dalla discesa di Cala d’Ambra e vedo il mare in fondo, un senso d’infinito”.