giovanni zanzu

“D’inverno rifletto, sulla vita di solito”. Giovanni Zanzu esordisce così. La domanda è di quelle che si fanno quasi tutti i turisti, anche se magari poi non la rivolgono davvero all’oste o all’albergatore che li ospita. “Quando sei giovane - spiega - lo stato di trans professionale ti prende così tanto che ti toglie la libertà di pensare. Faccio questo mestiere da 30 anni, da quando ne avevo 15 e frequentavo la scuola alberghiera in Piemonte, in Val d’Ossola”.

Per tutti, anche i paesani, d’inverno, è Giovanni del Giardinaccio (“l’etichetta te la porti sempre dietro”), ristorante un po’ discosto dal centro di San Teodoro aperto più di 40 anni fa dai genitori, che presero in prestito, racconta, il nome di un ristorante di Roma, cucina molisana. 

Il vento del Nord

Riflettere però non significa stare fermi. “Prima che la pandemia bloccasse tutto viaggiavo, ora che i miei figli sono grandi, con mia moglie. Per migliorare nel mio mestiere, e assorbire cose da culture diverse. Ti apre la mente, mi manca soprattutto questo, diventa un’esigenza psicofisica”.

Per “Giovanni del Giardinaccio” il Nord Europa è il luogo dello stupore, la scoperta è riempire la valigia di complessità: “Sono rimasto folgorato dalla duttilità in certi posti come in Inghilterra o Amsterdam, dalla positività e dall’elasticità mentale, la predisposizione al cambiamento. Mi ha aiutato tanto per avere nuovi stimoli nel mio lavoro, li ho applicati qui, ed è la cosa più difficile per un ristorante storico”. Se potesse, tornerebbe a Lubecca, nei luoghi di Thomas Mann “e a Travemünde, un villaggio di pescatori sul Mar Baltico, ma sarei più attento per godermi più situazioni”.

L'amicizia del ping pong

Da qualche tempo, Giovanni del Giardinaccio è diventato anche Giovanni del ping pong. Sempre in perfetta forma, tra camminate sportive e mountain bike, per la quale i sentieri non mancano sui monti che si levano alle spalle della costa, la riscoperta di una passione giovanile lo ha riportato a riallacciare legami attorno a un “tavolo da tennis”, che quando la primavera si affaccia alla finestra, prende posto nella terrazza del ristorante: “Ci giocavo quando frequentavo il collegio, vicino a Domodossola, e grazie ai social è diventata una passione comune. Mi vedo con gli amici, ogni sera uno diverso, giochiamo, chiacchieriamo. È un modo per rivivere la comunità, perché l’estate ti trasforma”. Un divertimento che anche i figli apprezzano, assieme agli amici. Quando fa bello, il tavolo prende posto in terrazza.

I ricordi di San Teodoro lo portano all’Isuledda, con i genitori allegri sereni, e a riflettere sul patrimonio di San Teodoro, un’eredità cospicua: “La scogliera che termina sulla pineta, dove vivi la natura. È un tesoro. Ma per questo subentra l’appagamento, e si dice: ‘tanto i turisti vengono lo stesso’”. E invece si può pensare tutto questo con atteggiamento diverso. Un territorio fatto per sport alternativi: “Vengono i tedeschi a fare kyte surf, vedo i bambini anche piccoli con la muta”.

Il suo idolo è Mourinho, perché, dice, gli piace tirar fuori il meglio da sé e dal suo staff, proprio come lo “special one” perché “nel mio lavoro non vivi di rendita, conta quello che fai oggi, non quello che hai fatto ieri”.

L'accoglienza leggera

La sintesi si esprime con la leggerezza dell’accoglienza: “Un posto aperto a tutti, senza selezione sociale, perché la ricercatezza e la creatività possono creare confusione”. Come il piatto che in oltre quattro decadi non è mai uscito dal menu del Giardinaccio, i culurgiones: “Li faceva mia madre, è un raviolo ripieno di patate con pomodoro, chiuso con un movimento delle dita. Il senso è quello di dare il giusto valore all’elemento più importante, senza stravolgerli con zafferano o gamberi, il protagonista non è il cuoco che fa lo showman”. 

È il legame con le origini che secondo Giovanni Zanzu deve essere valorizzato, ed è qui che si chiude il cerchio che racchiude turismo, cucina e senso delle cose: “Sono segnali che dobbiamo cogliere, con quell’elasticità mentale, quella positività. Una visione globale, ma non globalizzata”. E invece “il cervello è in mode ‘stagione’ o ‘non stagione’. A volte mi incazzo con me stesso”.