
di Sharia Lecca
A chi entra nell’ufficio di Gavino Costaggiu è risparmiata la fatica di fare domande sulle sue passioni. Le cornici appese alla parete racchiudono tutto il suo mondo. Passato e presente immortalati nei volti dei suoi vecchi compagni di squadra e impressi nelle firme sulla maglia della Nazionale italiana sindaci. Fu uno dei fondatori e ne è stato allenatore per molto tempo, oltre che il sindaco-giocatore di calcio più forte.
E poi ci sono le foto delle sue nipoti, due gemelle di tre anni che stravedono per lui. “Adorano stare con me, gli faccio fare tutto quello che vogliono – dice soddisfatto – i genitori lavorano entrambi. E dopo l’asilo spesso le tengo io, stacco il telefono, mollo tutto e faccio solo il nonno”. Insieme giocano, vanno al mare a Puntaldia o a Lu Impostu. Oppure le porta a passeggiare per le campagne di Lu Fraili, a scorrazzare liberi nella natura e guardare gli animali. In quei momenti sono solo loro tre e si bastano. Viene da chiedersi se gli insegnerà a giocare a calcio, se trasmetterà loro quella passione che coltiva sin da bambino. E che, dai campetti improvvisati sullo sterrato di una San Teodoro molto diversa da oggi, lo ha portato in alto, fino alla serie A.
Tutto iniziò da un "imbroglio"
Una carriera da professionista tra le fila di società di caratura nazionale come il Napoli, solo per dirne una: “Mi comprarono dall’Olbia per 35 milioni di lire e da quel momento iniziò la mia carriera nel professionismo, ho giocato in diverse squadre un po' in tutta Italia”. E pensare che tutto ha avuto inizio da un piccolo imbroglio, un escamotage. La società del San Teodoro ritoccò i suoi 14 anni per farlo esordire nella squadra del paese. "Eravamo in seconda categoria, volevano farmi giocare a tutti i costi e mi invecchiarono di due anni – racconta con l’enfasi di chi è ancora divertito da quella piccola disonestà – in pratica mi falsificarono il cartellino. Il vero problema era che io giocavo da portiere ma la divisa mi stava troppo larga. Mi fecero fare il difensore e da allora il mio ruolo è sempre stato in difesa o centrocampista”.
Era il 1973 e la squadra di calcio del San Teodoro era nata solo quattro anni prima. Gavino aveva 10 anni quando inaugurarono il campo sportivo e ricorda bene la cerimonia in pompa magna a cui partecipò praticamente tutto il paese. “C’era anche il Vescovo e per noi fu un vero evento”, allarga le braccia e annuisce come per rimarcare la solennità della cosa. Avere a disposizione un vero campo da calcio per i ragazzini di allora significava non dover più andare in giro a cercare campetti da improvvisare sul momento, non dover più dribblare erbacce, pietre e polvere. E fu una delle prime occasioni di incontro tra i bambini del centro storico e quelli delle frazioni. “Io abitavo a La Traversa e noi bambini più piccoli potevamo andare in paese solo la domenica per la messa, all’oratorio ci andavano solo quelli di San Teodoro perché erano vicini. Il nuovo campo ci ha uniti tutti per la prima volta, era l’unico momento di aggregazione”.
"Il campo era il nostro mondo"
Oggi fa sorridere parlare di integrazione tra le borgate e il centro ma quel rettangolo di terra pulito, delimitato e lasciato a disposizione dei ragazzi, ha rappresentato una svolta. "Ovviamente noi de La Traversa e La Suaredda giocavano contro i teodorini, una specie di derby – ride quasi a volersi prendere in giro – ma la verità è che il calcio ci ha uniti. Andavamo al campo anche a Natale o a mangiare la pizza che ci preparava il panettiere. Il nostro mondo era tutto lì”.
Una dimensione, quella della socialità legata allo sport, che Gavino non ha mai abbandonato neanche quando è diventato primo cittadino del suo paese. È stato il sindaco-capitano per molto tempo, politica e pallone curiosamente mescolati e proiettati in alto con la nascita, nel 2000, della Nazionale Italiana Sindaci, da lui costituita e allenata per 8 anni: “Mi divertivo moltissimo, faceva un certo effetto giocare con i sindaci di grandi città come Roma e Firenze”.
"Cofferati gioca a destra"
Era l’amministratore di un piccolo comune sardo senza alcuna soggezione nei confronti di colleghi ben più famosi. A dettare le regole in campo era lui, il calciatore professionista che favoriva spudoratamente i sindaci di sinistra. "Negli spogliatoi chiedevo sempre quale fosse il loro orientamento politico e qualcuno mi rispondeva quasi intimorito". Ne ricorda decine di aneddoti divertenti su quelle partite ma ne cita uno su tutti: sull’allora sindaco di Bologna, di cui parlò anche la stampa nazionale. "Mi divertì moltissimo un articolo su Panorama in cui si diceva – scandisce bene come a voler scrivere il titolo per aria - il sindaco di un piccolo paese è stato l’unico a far giocare a destra Cofferati".
Avrebbe potuto continuare a far parte della squadra dei sindaci anche dopo la fine del mandato ma non lo fece. Pensò che non sarebbe più stata la stessa cosa e preferì lasciare. Un’uscita di scena ben più ragionata, ma meno poetica, di quella che fece dalla squadra del San Teodoro: “Non ho mai fatto un vero e proprio addio alla carriera – lo dice ancora fiero della sua vena anticonformista – nella mia ultima partita mi fecero un passaggio lungo che non riuscii a intercettare. Seguii la palla oltre la linea e proseguii fino agli spogliatoi senza tornare indietro. Sono uscito dal campo così”.